
Dopo aver assistito alle tournée in Brasile dei campioni di Torino e Pro Vercelli, scoccò nei quattro giovani italiani, funzionari delle industrie Matarazzo, la scintilla giusta. Quale modo migliore per ricordarsi delle proprie origini, se non fondare una squadra per tutti gli italiani emigrati? Magari dando loro una ragione in più per riunirsi, tutti sotto la stessa bandiera. E proprio in onore del tricolore si scelse la maglia verde, con inserti rossi e pantaloncini bianchi. Sul petto, lo scudo con la croce dei Savoia, ma solo nelle prime amichevoli, poi lo scudo venne sostituito da un circolo contenente le lettere “P” e “I”. Ci misero poco, gli italiani, per imporsi agli onori della cronaca: tra gli anni Venti e gli anni Trenta il Palestra Italia vinse in svariate occasioni il titolo di campione Paulista e comprò anche il terreno dove sorse l'omonimo stadio. Per capire invece come mai oggi il Palmeiras si chiami in questo modo e non più Palestra Italia, nome deciso dai suoi fondatori, bisogna risalire ad un evento storico. Nel 1942 l'allora dittatore del Brasile, Getulio Vargas, optò per l'entrata in guerra della sua nazione al fianco degli Alleati. Logico, dunque, schierarsi contro l'Italia e cercare di cancellare così ogni possibile riferimento al nostro Paese, avversario sul campo di battaglia. In questo modo il club cambiò la sua denominazione e rinunciò anche alla presenza del rosso sulla maglietta, che rimase soltanto verde e bianca.
Dopo anni di declino tra gli anni Sessanta e Settanta, il Palmeiras tornò ad essere una squadra competitiva ancora una volta grazie all'aiuto dell'Italia, visto che ad inizio degli anni Novanta fu firmato un accordo di sponsorizzazione con la Parmalat. Partnership che portò anche un calciatore italiano a vestire, per la prima volta nella storia, la maglia di un club del Brasile. Il "sindaco" Marco Osio, centrocampista dell'incredibile Parma di Nevio Scala, che dopo un paio di stagioni in chiaroscuro con il Torino, ricevette proprio dalla società del patron Tanzi la proposta di continuare la carriera al Palmeiras. Un’offerta alla quale il giocatore, nel 1995-96, e dunque ad appena trent'anni, non seppe dire di no. Una sola stagione a San Paolo, come idolo dei tanti italiani emigrati, condita da una rete in 20 presenze e dal trionfo nel campionato Paulista. Peccato soltanto non abbia fatto parte del Palmeiras campione della Libertadores nel 1999, sotto la guida di Felipe Scolari, una squadra formidabile che sfiorò anche la conquista del titolo di campione del mondo, battuta nell'Intercontinentale soltanto dal Manchester United di Beckam e Giggs e guidata da Sir Alex Ferguson. Dopo la fine dell'accordo con la Parmalat, per il Palmeiras nel nuovo millennio è iniziato un periodo di lento declino e anche lo storico stadio "Palestra Italia" non c'è più, demolito e sostituto dall'Allianz Parque, che però popolarmente viene chiamato dalla gente ancora "Palestra Italia Arena", proprio perché sorto sulle ceneri del vecchio impianto.
Il legame tra il club e l'Italia è rimasto comunque sempre forte, tant'è che negli anni scorsi il Palmeiras per omaggiate il Belpaese decise di lanciare una nuova maglia di colore azzurro (come la nostra nazionale), con una fascia bianca e la croce dei Savoia sul petto. Oggi il Palmeiras è una delle migliori squadre campionato brasiliano e con 9 successi è la formazione più vincente nella storia del calcio verdeoro, staccando di una lunghezza il Santos. Per la felicità dei tanti tifosi del Verdao e dei tanti italiani che, magari legati da un filo di tristezza nel ricordo dei propri parenti emigrati, sono rimasti affezionati alle vicende sportive di questo club.