Una vera e propria maledizione è quella che ha colpito la Juventus, che per la settima volta nella sua storia non è riuscita a vincere la Champions League, piegata nella finalissima di sabato scorso dal Real Madrid di Cristiano Ronaldo. Il club più vincente d'Italia si è fermato lì, ad un passo dal traguardo, ancora una volta. Suona davvero strano il fatto che una squadra con un dna del genere sia riuscita solamente in due occasioni su nove ad alzare il trofeo più ambito. Beffata nella sua storia dall'Ajax negli anni Settanta e dall'Amburgo negli Ottanta e incapace di mettere fine ad un digiuno che ormai dura dal 1996.
E fa ancora più male riuscire ad arrivare fino in fondo alla Champions (torneo che è diventato sempre più difficile per il numero crescente degli avversari e per il calendario fitto) per due volte negli ultimi tre anni, ma rimanere sempre a bocca asciutta, travolti prima dal Barcellona e poi dal Real. Uscendo fuori per un attimo dai confini bianconeri, con uno sguardo rivolto al passato, la rabbia sale ancor di più se contiamo le tante occasioni perse dai club di casa nostra. La seconda edizione di quella che una volta era chiamata Coppa dei Campioni, datata 1956-57, ad esempio vide arrivare in finale la Fiorentina. I viola di Fulvio Bernardini arrivarono all'atto conclusivo del torneo (non certo lungo come quello odierno…) dopo aver superato gli svedesi del Norrkoping, il Grasshopper e la Stella Rossa di Belgrado. Una finale da record, se non altro per gli oltre 120mila spettatori che assieparono le tribune del Santiago Bernabeu. In campo la Fiorentina non riuscì a superare i padroni di casa del Real Madrid, con un giovanissimo Giuliano Sarti (poi portiere della grande Inter di Herrera) che non poté nulla di fronte alle prodezze di Di Stefano e Gento. Real Madrid che si impose ancora una volta su una squadra italiana nell'edizione successiva, questa volta il Milan.
Risultato finale 3-2 ai tempi supplementari. E dire che quella rossonera era davvero una squadra ben messa in campo, con Cesare Maldini e Gigi Radice in difesa, Liedholm a centrocampo e il bomber italo-uruguagio Schiaffino in attacco. L'Inter di Helenio Herrera negli anni Sessanta riuscì a conquistare in due occasioni la Coppa dei Campioni, ma nel 1967 dovette alzare bandiera bianca in finale contro il Celtic Glasgow. A Lisbona i nerazzurri erano indicati come grandi favoriti per il trionfo finale, ma qualcosa quella sera andò storto. Il repentino gol su rigore di Mazzola fu rimontato nella ripresa dagli scozzesi, più freschi sul piano atletico, capaci di andare a segno con Gemmell e Chalmers, quest'ultimo autore del gol decisivo a soli sei minuti dalla finale. Fu, di fatto, la sconfitta che chiuse il ciclo della grande Inter del "Mago". A proposito di cicli, ad inizio degli anni Settanta toccò all'Ajax dominare il panorama calcistico europeo. I lancieri, trascinati da uno straordinario talento di nome Cruijff, vinsero la loro seconda Coppa dei Campioni nel 1972, piegando in finale ancora l'Inter grazie ad una doppietta del "profeta del gol".
E' il 30 maggio del 1984 la data che i tifosi della Roma vorrebbero cancellare invece dalla propria memoria. Allo Stadio Olimpico, davanti a oltre 70mila spettatori, va in scena la finale di Coppa dei Campioni tra i giallorossi e il Liverpool. E' la prima volta che la Roma aveva la possibilità di giocare un trofeo così prestigioso, ma la squadra di Nils Liedholm non si fece beffare dall'inesperienza e riuscì a guadagnarsi la possibilità di alzare il trofeo davanti al proprio pubblico. La finalissima iniziò in salita per i giallorossi, subito sotto per un gol del difensore Neal, ma poco prima del riposo il bomber Pruzzo riportò la sfida in equilibrio. Equilibrio che regnò fino al novantesimo e poi per tutti i supplementari. Calci di rigore decisivi, dunque, per la prima volta nella storia della Coppa dei Campioni. Di Bartolomei non sbagliò, Nicol sì. Ma quella che sembrava poter essere una serata magica si trasformò in un incubo: il Liverpool non sbagliò più dagli undici metri, Graziani e Conti invece sì, e la Coppa finì nella bacheca dei Reds.
E che dire dell'edizione 1991/1992? In finale arrivò la Sampdoria di Vujadin Boskov, anch'essa alla prima partecipazione. Tra i doriani la magica coppia d'attacco Vialli-Mancini, un inossidabile difensore come Pietro Vierchowod e un sontuoso Cerezo in mezzo al campo. Dall'altro lato però c'è il Barcellona di Zubizarreta, Guardiola, Laudrup e Stoichkov. La partita finì 0-0 ai tempi regolamentari, grazie alle parate di un super Pagliuca. Ai supplementari, al minuto 112, la beffa atroce che nessuno può cancellare dalla mente dei doriani. Koeman tirò un siluro su punizione dal limite e per il portiere non ci fu niente da fare. Ennesimo esempio di sogno infranto, ennesima occasione persa dalle squadre italiane, che anche l'anno successivo videro sfuggir via la Coppa dei Campioni in finale, con il Marsiglia capace di piegare il Milan grazie all'inzuccata di Boli. I rossoneri si imposero nell'edizione successiva (0-4 allo Steaua) ma nel 1995 persero ancora una volta in finale, questa volta per mano dell'Ajax di Kluivert, a soli cinque minuti dalla fine. Altra incredibile finale persa dai rossoneri è stata quella del 2005. A Istanbul il Milan incontrò il Liverpool e al riposo andò in vantaggio sul 3-0 grazie ai gol di Maldini e Crespo (2). Nella ripresa però in un inspiegabile blackout di appena 6 minuti il Liverpool riuscì ad acciuffare il pareggio e poi si impose ai calci di rigore. Le storie di grandi trionfi italiani si sono alternate dunque nel corso degli anni a delusioni immense. E se big come Milan, Inter e Juventus hanno avuto spesso l'occasione per rifarsi, altre squadre come Fiorentina, Roma e Sampdoria sperano, un giorno, di avere una seconda chance per conquistare il tetto d'Europa.